
Ah, New York, la Grande Mela!
Un tempo culla di opportunità e melting pot di culture, oggi sembra essere diventata il palcoscenico per una tragicommedia in cui gli attori principali sono personaggi che fanno rabbrividire.
Tra questi, Siraj Wahhaj, l’illustre imam che sa come mescolare il sacro con il profano, come se fosse un barman di cocktail ideologici.
Wahhaj è un maestro nel cavalcare l’onda della rispettabilità, mentre si aggira tra le frange più oscure dell’Islam americano.
È come se avesse due vite: da un lato, il predicatore che incanta le folle con le sue parole su pace e unità, dall’altro, colui che ha messo radici nel terreno argilloso del radicalismo.
“Integrazione, ma solo a certe condizioni”, sembra dire, mentre i suoi seguaci applaudono entusiasti le sue prediche contro la società occidentale.
Ti immagini la scena?
Un gruppo di persone che ascoltano un discorso che potrebbe facilmente diventare il copione di un film horror, dove la sharia viene presentata come la nuova guida morale da adottare.
E poi c’è il suo legame con l’attentato al World Trade Center del 1993!
Ah, che bel modo di arricchire il curriculum vitae di un’icona religiosa.
A chi non piacerebbe avere come biglietto da visita un colpo di scena del genere?
Perché, ammettiamolo, chi non vorrebbe farsi immortalare accanto a un uomo considerato complice di un atto terroristico?

Che regalo per Instagram!
#BestFriendGoals, giusto?
Ma non è tutto! Nel 2018, il figlio di Wahhaj, Siraj Ibn Wahhaj, ha pensato bene di elevare ulteriormente il prestigio della famiglia facendo notizia per aver tenuto 11 bambini in condizioni desolanti.
Non una semplice festa di compleanno, ma un vero e proprio campo di addestramento per future generazioni di piccoli estremisti. Immagina i colloqui familiari: “Caro papà, cosa hai fatto oggi?”
E lui che risponde: “Ho tenuto un campo estivo per giovani jihadisti, tu?”
Poveri bambini, relegati a un’esistenza di degrado e potenziale violenza, mentre i loro genitori si crogiolano nei loro sogni di grandezza.
Ed ecco che ci troviamo a riflettere sull’Islam americano, una realtà che si presenta spaccata in due.
Da un lato abbiamo i moderati, quelli che cercano di integrare i loro valori nella società americana, e dall’altro, le frange più radicali, abituate a dare la caccia a presunti nemici con una furia che fa sembrare un cane arrabbiato un cucciolo di labrador.
È un gioco di prestidigitazione culturale, dove il sapere e il radicalismo giocano a rimpiattino.
E chiama in causa New York, con la sua storia di resilienza e multiculturalismo.
Povera città, che triste destino il tuo! Sembri essere finita in un circo, dove ogni giorno qualcuno cerca di superare l’ultimo spettacolo di acrobazie verbali.
Votala per il premio “Miglior Spettacolo della Storia”: per un po’ di intrattenimento, abbastanza da lasciare tutti a bocca aperta.
Ma ahimè, dietro le quinte si nascondo realtà scomode e ambiguità pericolose.
E ora, vogliamo parlare della reazione della comunità?
Gli imam moderati devono sentirsi come se stessero cercando di spegnere un incendio con un secchio d’acqua mentre un vulcano sta per eruttare.
Ogni volta che un Wahhaj o un altro simile emerge nella scena pubblica, è come se a tutti gli altri venisse chiesto di prendere le distanze, di discolparsi.
“No, noi non siamo loro!” gridano, mentre la stampa si affolla attorno al caricatore di eventi sensazionali.
Ma torniamo a Siraj Wahhaj.
Che figura incredibile!
Ha il raro talento di attirare l’attenzione proprio quando non dovrebbe.
I suoi discorsi, una miscela esplosiva di retorica infuocata e sorrisi enigmatici, possono far impallidire anche il più audace degli oratori politici.
Lo si può vedere sul palco, mentre brandisce versi del Corano e proclama la necessità di stabilire la sharia come nuova norma.
La gente applaude mentre qualcun altro si chiede se non sia il caso di avvertire le autorità.
E poi ci sono le sue affermazioni contro l’Occidente.
Davvero, Siraj, sei sicuro che stai parlando di New York?
È come se un cuoco lamentasse la qualità dei pomodori mentre è circondato da una delle migliori cucine del mondo
. “La nostra società è corrotta, il nostro futuro è in pericolo,” ripete instancabilmente.
E se ci pensi, cosa c’è di più ironico che un uomo che vive in uno dei luoghi più liberi del pianeta, lamentarsi di quanto sia corrotto quel posto?
Allora, cari newyorkesi, come vi sentite al riguardo?
Un’imam che grida dal palco provando a salvare il mondo mentre tiene alle spalle una storia di ambiguità e conflitti. Povera New York, che brutta fine hai fatto, davvero!
Ti abbiamo vista trasformarti in una sorta di reality show, dove la linea tra il bene e il male diventa sempre più sfumata, e i veri protagonisti non sono nemmeno quelli che ti aspetteresti.
Gli attori di questa commedia tragica possono sbagliarsi, ma tu, cara New York, continui a brillare, sia che tu lo voglia o meno.
Magari è ora di cambiare copione, no?