
Fabrizio Corona, un nome che evoca scandali e gossip, oggi si trova a muoversi nell’affascinante ma ingannevole mondo del giornalismo serio.
Immaginate la scena: il re del gossip che decide di passare dall’altra parte della barricata.
Ma è davvero così?
Siamo certi che questa metamorfosi non sia altro che una sorta di abbaglio collettivo?
Intanto, dallo schermo di Rai3, Sigfrido Ranucci ci sorprende ancora con le sue ultime “inchieste”, il cui contenuto sembra più adatto a un gruppo WhatsApp di quindicenni che a un programma di informazione serio.
Nell’ultima puntata di Report, contro ogni previsione, Ranucci ha deciso di svelarci i messaggi privati tra Giorgia Meloni e Agostino Ghiglia, un ex membro del Garante per la Privacy.
Una vera e propria “soffiata” del 2021, in cui si discuteva dello stop al Green Pass deciso dal Garante.
E che aveva fatto sobbalzare più di un addetto ai lavori.
Un documento, bollato come “riservato”, che metteva nero su bianco i dubbi dell’Autorità sulla legittimità di una misura che, di lì a poco, avrebbe cambiato radicalmente le nostre vite.
Un fulmine a ciel sereno, che però non impedì al governo di andare avanti per la sua strada.
Anzi, il Green Pass divenne presto uno strumento imprescindibile per accedere a una miriade di attività, dai ristoranti ai cinema, dai teatri ai mezzi pubblici.
Una scelta che scatenò un acceso dibattito, tra sostenitori della linea dura e strenui difensori delle libertà individuali.
Ma questa, come si suol dire, è un’altra storia.

Ma ci si deve chiedere: è questo giornalismo?
È notizia?
Magari!
Ma dall’altra parte, è anche una conversazione privata messa in piazza come se avessero appena terminato un caffè al bar.
Una volta, Report era il programma dove si smascheravano gli scandali, le malefatte, le condotte discutibili.
Oggi sembra aver intrapreso un altro genere di investigazione, tanto da apparire più come il gruppo di chiacchiere di un liceo.
E mentre Ranucci si diverte a “inoltrare” sms, ci chiediamo: dov’è finito il vero lavoro del giornalista?
Non si tratta di raccogliere e analizzare informazioni?
Oppure, siamo giunti al punto in cui il compito si limita a screenshot e compartecipazioni?
Certo, ci sono anche le “denunce”, ma invece di urlare al mondo le malefatte di questo o quel politico, Ranucci sembra avere un approccio più… “soft”.
Se l’informazione fosse una partita di calcio, lui sarebbe quel giocatore che si limita a passare la palla senza mai cercare di segnare.
Ma cosa fa, invece?
Mette in onda le conversazioni private come se avesse scoperto la verità della vita.
Ma attenzione!
C’è un aspetto da considerare.
Se Ranucci non trova mai gli sms di Ursula von der Leyen con Pfizer, è perché forse, e dico forse, non gli arrivano sul telefono della Rai.
Chissà, magari non sono stati inclusi nel pacchetto di abbonamento.
Il giornalismo è davvero cambiato, e non nei migliori dei modi.
Sembra che ora abbia deciso di ricorrere a modalità di comunicazione tipiche dei teenager, parlando di pettegolezzi piuttosto che di fatti concreti.
Certo, non vogliamo negare che le chat private possano anche rivelare dinamiche interessanti e non sempre trasparenti, ma un conto è investigare, un altro è spiare.
Dovremmo meritare un’informazione che rispetta la privacy, piuttosto che una rassegna stampa di messaggi privati.
E poi, c’è da riflettere su cosa significhi realmente “informare”. Il giornalismo dovrebbe essere sinonimo di verifica, di indagine, di confronto. Invece, sembra che oggi si preferisca “mettere in onda” per attrarre visualizzazioni piuttosto che “denunciare” per fare chiarezza.
Scherzando, potremmo dire che il vero scoop sarebbe scoprire Fabrizio Corona che scrive editoriali seri e Sigfrido Ranucci che diventa un detective vero e proprio.
Ma la realtà è che il giornalismo, così com’era concepito, è sempre più vicino al mondo dei social, dove il like conta più della verità.
E il rischio è che, nel tentativo di abbracciare il sensazionalismo, si continui a perdere di vista il valore dell’informazione.
Quindi, mentre Corona si cimenta nel giornalismo serio, ma lascia sempre un’ombra di scetticismo, Ranucci ci tiene compagnia con quella che sembra una soap opera in diretta.
Almeno, divertiamoci: in un’epoca in cui la verità appare sempre più sfocata, l’ironia potrebbe essere l’unico modo per affrontare questa nuova era.
E in fondo, chissà, forse l’unica cosa seria rimasta è la nostra capacità di ridere di fronte all’assurdo.
In conclusione, mentre il panorama del giornalismo si evolve in modi inaspettati e a volte comici, la riflessione resta seria: l’informazione deve rispettare confini e principi, non può ridursi a un gioco di spionaggio tra amici.
E nella giostra delle abiure e delle trasformazioni, possiamo solo sperare che ci siano ancora alcuni che credono nel compito originale del giornalista: informare, non spiare.