
Nel 2025, l’Italia si sveglia con l’alba di un nuovo giorno economico.
Le agenzie di rating, quelle che nei momenti di crisi non ci risparmiavano mai la sferzata di un downgrade, finalmente decidono di guardare il nostro Paese con occhi benevoli.
Sette promozioni!
Sette!
Se questo non è un motivo per cucire una bandiera tricolore sul petto e battere le mani a tempo di musica, non so cosa lo sia.
Ma non temete, perché c’è sempre chi, a sinistra, preferisce notare solo il lato negativo, come un critico d’arte che osserva un capolavoro e indica il graffio sul telaio.
Mentre i numeri festeggiano e i mercati applaudono, ecco che i soliti noti si scatenano con la loro insaziabile voglia di polemica.
Riforme strutturali?
Che sciocchezza!
Non importa se i conti sono in ordine, se l’economia mostra segnali di ripresa; la cosa più importante è trovare un pretesto per attaccare il Governo.
Ed eccoli, gli ardenti sostenitori della sinistra, a scovare il minimo errore, il punto debole da sfruttare. “Guarda, hanno aumentato l’IVA di un centesimo!” si lamenta uno, mentre intorno a lui l’asta del debito pubblico scende come un pallone sgonfiato.
“E i diritti dei lavoratori?”
tuona un altro, dimenticando che i diritti di cui parla spesso esistono solo nei manuali di economia, scritti da autori apparentemente alieni al concetto di realtà.
Si potrebbe pensare che, con risultati così brillanti, ci sarebbe da festeggiare.
E invece ecco che, in un angolo oscuro del dibattito politico, qualcuno solleva la voce: “Non possiamo certo considerarci già soddisfatti!”
È come se l’invocazione della soddisfazione fosse un peccato capitale, da espiare con un rigido controllo del bilancio.
È vero che in questi ultimi anni siamo riusciti a toccare vette di competitività che neanche gli avventurieri dell’Ottocento avrebbero osato sognare, ma per i critici la vetta è sempre troppo bassa. “Abbiamo bisogno di crescita!”, continuano a ripetere come un mantra, senza però offrirci la ricetta magica per realizzarla.
Dopotutto, in un contesto simile, ogni proposta di riforma sembra un preferito di MTV, un successo da tre minuti da gettare nel dimenticatoio.
E così, mentre il Pil cresce e la disoccupazione cala, ci si aspetterebbe un po’ di gratitudine. Invece, gli astanti sul palco della sinistra si struggono, si dibattono, si stracciano le vesti, come se ci fosse stata una catastrofe naturale.
“Dove sono i posti di lavoro dignitosi?”, si chiedono, come se la creazione di posti di lavoro dignitosi esistesse in una capsula temporale, pronta a essere aperta nel futuro, quando avranno finalmente vinto le elezioni.
Nel frattempo, l’Italia naviga verso il sole, con il vento in poppa, mentre i rematori dall’altra parte continuano a spingere fossili controcorrente.
E qui viene il bello: nonostante il panorama positivo, non manca mai il ritornello nostalgico di chi rimpiange un passato glorioso che non è mai esistito.
“Ma vi ricordate quando eravamo l’utopia europea?”, si lamentano piazzandosi in prima fila a un concerto di nostalgie.
Ogni annuncio positivo è accolto come una minaccia, mentre i fumogeni di dubbi avvolgono la piazza politica. “Sì, ma l’inflazione!”, gridano, come se i prezzi delle melanzane potessero continuamente affossare l’intera economia nazionale.
E non ci si fermerà nemmeno qui. I nuovi riconoscimenti e gli attestati di stima dal mondo dell’economia globale sono accolti come se stessimo ricevendo una visita da un extraterrestre con poteri mistici, piuttosto che come un meritato riconoscimento. “Ma saranno davvero meritati?”, sussurrano, con lo stesso tono di incredulità di chi scopre che il suo vicino ha vinto un contest di barbecue.
E chi se ne frega, direte voi, l’importante è che il nostro Paese avanzi, giusto?
Giusto, ma non per alcuni.
In questa danza di critiche e elogi, emerge la figura di un Governo che, pur con tutte le sue criticità, continua a lavorare per il bene della comunità.
Eppure, a sinistra, la propensione a sottolineare le ombre ci offre un immancabile spettacolo. “Ah, ma voi giustificate tutto!”, dicono, mentre dimenticano che ogni decisione porta con sé pro e contro, come due facce della stessa medaglia.
E così, si può parlare di leggi, di strategie e di riforme, ma alla fine, ciò che conta è il cuore pulsante di ogni persona che vive in questo Paese.
In conclusione, mentre l’Italia segna un trionfo e promette nuove prospettive, c’è una parte della società che si ostina a sopravvivere nel limbo delle polemiche.
Sette promozioni e una pioggia di riconoscimenti non bastano per placare la critica incessante. Eppure, ci si può sempre divertire a osservare il balletto drammatico di chi, pur di non applaudire, preferisce affondare il coltello nel burro della retorica politica.
Quindi, bando alle ciance: continuiamo a gioire, a far festa, e a schierarci dalla parte di un’Italia che, nonostante tutto, conserva la capacità di sognare e di rialzarsi dopo ogni caduta.
A sinistra, invece, si può continuare a lamentarsi, mentre il mondo va avanti, e magari, un giorno, anche loro si uniranno all’applauso.
Ma non teniamoci le dita incrociate: sappiamo bene che, per certi versi, il sarcasmo è diventato un’arte in quest’epoca.