Nel grande palcoscenico della geopolitica, l’Ucraina ha recentemente lanciato un annuncio che ha fatto sobbalzare molti: oltre 1.000 cubani sarebbero già impegnati a combattere per la Russia.

Ma non è tutto! Secondo un documento del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, il numero potrebbe raggiungere cifre spaventose, addirittura 5.000.

Se questo non bastasse, fonti ucraine parlano addirittura di 20.000 reclutati da Mosca, con il beneplacito dell’Avana.

E chi avrebbe mai pensato che Cuba, nota più per i suoi sigari e la musica salsa, si sarebbe trasformata in un serbatoio di combattenti?

Ma andiamo con ordine. Immaginate la scena: giovani cubani, nel bel mezzo della loro vita quotidiana, che si ritrovano a donare la loro gioventù per una causa che, a dirla tutta, sembrerebbe piuttosto distante dalla loro realtà quotidiana.

Chi avrebbe mai immaginato che dopo una lunga tradizione di rivoluzione e resistenza, Cuba decidesse di trasformare i suoi connazionali in “carne da cannone”?

Certamente, questa è una risorsa umana che ogni paese dovrebbe essere orgoglioso di sfruttare, giusto?

Il Dipartimento di Stato ha ben chiaro in mente cosa sta accadendo.

Questa faccenda del reclutamento di massa viene classificata come tratta di persone, e non stiamo parlando di un semplice scambio di pacchetti, ma di qualcosa di ben più sordido.

Poveri cubani catapultati a Donetsk, pronti a difendere gli interessi russi mentre la loro patria è lontana e, probabilmente, già dimenticata.

È quasi poetico, se non fosse così tragico.

Immaginate questi giovani, sognando una vita migliore, magari con la speranza di tornare a casa un giorno, portando con sé storie di eroismo e di gloria.

Ma scoprendo ben presto che la realtà è tutt’altra: tra le trincee fangose, munizioni che non finiscono mai e un clima che non fa altro che ricordare quanto sia difficile quell’ideale di grandezza promesso dal reclutamento di Mosca.

E poi, ci sono i numeri.

Quale sia la cifra esatta di cubani coinvolti, è un mistero quasi calcistico; i dati oscillano come un tiro da tre punti, tra 1.000 e 20.000. Un bel gioco di numeri, non trovate?

E ora, facciamo una riflessione su tutto questo.

Non è forse un po’ ironico che un paese come Cuba, con la sua storia di lotta contro l’imperialismo e la ricerca della sovranità, si ritrovi a sponsorizzare un’operazione che potrebbe sembrare, ai più, una sorta di parodia della propria essenza?

Una sorta di “guerra dei poveri”, dove i protagonisti sono proprio coloro che dovrebbero essere protetti da un governo “rivoluzionario”.

A questo punto, potremmo chiederci: quale sarà il destino di questi soldati cubani?

Torneranno a casa con medaglie al valore o a pezzi?

Chi avrà il coraggio di raccontare le vere storie dietro queste cifre?

Molti di loro potrebbero essere solo statistiche, numeri su un rapporto di guerra che si allunga sempre di più.

E mentre la comunità internazionale osserva questo dramma, chi sa?

Forse qualcuno inizierà a pensare che l’umanità ha bisogno di redimersi, anche quando sembra esserci una corsa a chi può affondare di più.

Chissà, magari una nuova rivoluzione si sta preparando, ma questa volta non sarà né a Cuba né in Ukraine.

Potrebbe essere solo su un campo di battaglia abbandonato, dove i sogni di libertà marciscono accanto ai corpi di chi credeva di combattere per una causa più grande.

Quindi, alla fine, facciamo un brindisi ironico ai giovani cubani che, senza volerlo, si ritrovano a scrivere un nuovo capitolo della storia.

È un racconto di idealismo, sfruttamento e, perché no, un tocco di surrealismo.

Un’opera d’arte contemporanea, dove i colori sono quelli della guerra e il messaggio è chiaro: la vita va avanti, anche quando sembra che tutto stia sfuggendo di mano.

Di Admin

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