
Una riflessione ironica sull’arte di insultare e deridere nella pubblica piazza**
Stamattina, mentre il caffè sputava il suo aroma avvolgente nella mia cucina, ho acceso il televisore per immergermi nella quotidiana danza del dibattito politico italiano. È stato un attimo: i commentatori, annegati nella bile, si sono riversati sui giornali come una tempesta di locuste pronte a divorare ogni briciola di buon senso rimasta sul piatto della democrazia. Oh, la libertà di espressione! Un concetto tanto affascinante ma che pare non riscuotere grande successo tra certi circoli.
Giorgia Meloni, quella nonna scatenata della politica italiana, ha osato ricordare cosa hanno scritto di Atreju, l’evento annuale che è diventato un’istituzione, un po’ come il panettone a Natale. E questo ha scatenato la furia ferina dei commentatori. Insulti, derisioni, e aggettivi usati con la stessa delicatezza di un gorilla in una cristalleria. “Ammucchiata!” hanno detto alcuni, affermando che la festa fosse un’accozzaglia di gente in cerca di un selfie. Altri, più raffinati, hanno parlato di “roba viscida, bituminosa, nera”. Ma davvero? Cosa stiamo cercando di descrivere? La mappa di un nuovo territorio politico o il menu di una pizzeria napoletana?
Ah, la cultura democratica, quel meraviglioso mosaico di idee e punti di vista! Funziona così: prima ti insultano, poi ti deridono, usano gli aggettivi come lame affilate. Sono artisti nel loro genere, ma il loro dipinto si colora di sfumature di grigio quando qualcuno ha l’ardire di rispondere. E che succede? Prima ti etichettano come fascista. È il loro modo elegante di dire: “Amico, hai osato usare la tua libertà di espressione per difenderti, quindi sei subito catalogato.” È un po’ come se ognuno di noi avesse un timbro invisibile sulla fronte, pronto a contrassegnarci alla prima battuta non ortodossa.
Continuando nel mio viaggio attraverso le onde d’urto delle opinioni, mi sono chiesto: ma quanto spazio c’è realmente per la libertà di espressione quando si è circondati da una foresta di insulti? Troppi comunicati dei Cdr (Comitati di Redazione), editoriali che sono più simili a sermoni e commenti che sembrano accumularsi come foglie morte in autunno. “Non dimenticate mai,” sembra dire il commentatore medio, “che ciò che dite potrebbe ritornare indietro a mordervi.” È un avvertimento per chiunque osi mettere in discussione il pensiero unico.
E poi c’è la questione dell’opposizione. Perché, si sa, in ogni grande commedia dell’arte deve esserci un antagonista. Gli oppositori naturalmente devono dimostrare il loro valore, ma come? Sottintendendo che chi partecipa ad Atreju sia poco più di un gruppo di hooligans in una curva. Ma chi sono gli hooligans, in fondo? Persone che si radunano per discutere, per confrontarsi, per trovare nuovi modi di pensare. Eppure, a sentire quei commentatori, tutto ciò suona più simile a un raduno di zombie di casa in un film di serie B.
Mentre continuavo a sorseggiare il mio caffè, sono arrivato a una conclusione. In fondo, Atreju è una manifestazione di libertà, un momento in cui diverse anime si uniscono per esplorare nuove idee. Ma per alcuni, la mera esistenza di tale evento è un attacco alla loro concezione di civiltà. “Come osi?” È la domanda che aleggia nell’aria, come un profumo insopportabile di pesce marcio. E mentre i commentatori affilano le loro lame verbali, io mi tuffo ancor di più nelle acque della satira.
Evviva Atreju! È il grido di battaglia di chi sa che la vera ricchezza di una società democratica risiede nella capacità di ascoltare, di rispondere, di confrontarsi. Ma non temete, cari lettori, perché il vero divertimento sta nel dover attraversare questi fiumi di bile che scorrono nei commenti e nei giornali. La vita è troppo breve per prendersela sul serio, quindi perché non unirsi al coro e unirsi al balletto? Se c’è qualcosa che ho imparato oggi, è che il dibattito è un ballo in maschera, dove tutti indossano le loro maschere di “super intellettuali” per nascondere le loro paure e le loro frustrazioni.
In un mondo in cui le parole volano come frecce, è fondamentale mantenere il senso dell’umorismo. Dopotutto, non possiamo abbandonare il nostro spirito critico, né tantomeno la nostra capacità di ironizzare sui paradossi che ci circondano. Quindi, mentre i giullari della politica continuano la loro danza macabra, noi restiamo qui, pronti a ridere e a rispondere, sempre!