De Ficchy Giovanni

Il Pentagono ha varato un piano urgente per raddoppiare la produzione di 12 tipi di armi strategiche, preoccupato per il livello basso delle scorte disponibili in caso di un futuro conflitto con la Cina.
Lo rende noto il Wall Street Journal spiegando che l’iniziativa, guidata dal Munitions Acceleration Council, sarà supervisionata personalmente dal vicesegretario alla Difesa Steve Feinberg.
Il portavoce del Pentagono Sean Parnell ha dichiarato che il Presidente Trump e il Segretario Hegseth stanno valutando misure per incrementare la potenza militare e la produzione di munizioni, evidenziando la collaborazione tra le forze armate e l’industria bellica.

L’obiettivo è rafforzare la disponibilità di sistemi chiave come i missili Patriot, gli SM-6 e i Long Range Anti-Ship Missiles, essenziali per la difesa delle basi e degli alleati nel Pacifico.
L’implementazione non è priva di ostacoli, a cominciare dai tempi di assemblaggio di singoli missili, che possono possono superare i due anni.
Non secondaria è la questione dei costi.

Per raggiungere gli obiettivi occorrerebbero più dei 25 miliardi di dollari già stanziati dalla Casa Bianca.
Le aziende, tra cui Lockheed Martine e Raytheon, hanno già avviato l’espansione degli impianti e l’assunzione di nuovo personale, ma pretendono garanzie finanziarie per investimenti a lungo termine.
La prolungata guerra in Ucraina e l’uso intensivo di intercettori in conflitti recenti, come quello tra Israele e Iran, hanno evidenziato la vulnerabilità della catena di approvvigionamento statunitense.
L’obiettivo è raggiungere una produzione di quasi 2.000 missili Patriot all’anno.

Per affrontare questa sfida, il Pentagono sta esplorando diverse strategie.
Tra queste, spiccano gli investimenti nell’espansione delle capacità produttive esistenti, la diversificazione delle fonti di approvvigionamento e la promozione di collaborazioni con alleati internazionali per incrementare la produzione di componenti chiave.
L’obiettivo è duplice: garantire la disponibilità di missili Patriot per le proprie forze armate e, al contempo, sostenere gli sforzi di difesa dei partner strategici, riducendo la dipendenza da un’unica catena di approvvigionamento vulnerabile.

Si guarda anche all’innovazione tecnologica, con lo sviluppo di sistemi di difesa missilistica più efficienti e meno costosi, in grado di contrastare le minacce emergenti senza gravare eccessivamente sulle risorse produttive.

Allo stesso tempo, si esplorano nuove frontiere nell’ambito della cyber-sicurezza, per proteggere le infrastrutture critiche e i dati sensibili da attacchi informatici sempre più sofisticati.
L’obiettivo è quello di mantenere un vantaggio competitivo, garantendo la sicurezza nazionale e la stabilità economica, attraverso un continuo investimento in ricerca e sviluppo.
Si punta, inoltre, a rafforzare la cooperazione internazionale, condividendo informazioni e risorse con i partner strategici, per affrontare le sfide globali in modo coordinato ed efficace.
Più Usa, meno Europa e Africa I leader militari americani esprimono preoccupazioni relativamente alla nuova strategia dell’amministrazione Trump, incentrata maggiormente sulle minacce al territorio americano e sulla competizione con il Dragone, con un ridimensionamento del ruolo statunitense in Europa e Africa.
Il dibattito sulla National Defense Strategy, il documento sulla base del quale il Pentagono fissa le priorità per le risorse e posiziona le sue forze nel mondo, è serrato.
I consiglieri politici del Segretario alla Difesa Pete Hegseth hanno più volte espresso forti riserve sull’impegno di lunga data degli Stati Uniti in Europa e Medio Oriente.
Ma la nuova postura ha suscitato perplessità nella componente militare.
Tra le voci più critiche si distingue quella del generale Dan Caine, capo degli Stati Maggiori Riuniti, che ha espresso apertamente i suoi dubbi.
Hegseth, Colby (capo dell’ufficio politico) e altri hanno segnalato che il Pentagono ritirerà truppe dall’Europa e riorganizzerà i comandi, in linea con i principi del Maga.
Il coinvolgimento degli Stati Uniti in guerre lontane, costose e logoranti, secondo la destra, ha drenato risorse ingenti, che potevano essere destinate ad assicurare gli interessi nazionali americani.
In programma anche l’intensificazione dell’utilizzo delle forze Usa in aree vicine o addirittura sul suolo americano, dal dispiegamento sul confine meridionale ai raid contro i narcotrafficanti nel mar dei Caraibi, passando per lo schieramento della Guardia Nazionale nelle città americane al fine di combattere l’immigrazione illegale e la criminalità fuori controllo.