Un’Analisi Ironica del Patriotismo da Tastiera

Nel bel paese, dove la pasta viene servita al dente e i sentimenti nazionali si riscaldano più velocemente di una buona carbonara, ci si aspettava che Jannik Sinner, il giovane fenomeno tennistico, si presentasse con il tricolore in spalla alla Coppa Davis di Bologna.
E invece no, il ragazzo ha avuto l’ardire di rimanere a casa, suscitando l’ira dei “leoni da tastiera” pronti a scagliarsi contro di lui come un gruppo di ultrà impazziti dopo una sconfitta.
Già, perché ovviamente non c’è nulla che faccia vibrare le corde dell’orgoglio nazionale come un tennista che decide di prendersi una pausa.

Dai messaggi in fiamme sui social ai talk show serali, tutti hanno sentito il bisogno di tirare in ballo l’inno di Mameli e il senso della patria, come se stessimo organizzando una marcia trionfale su Roma.
A dare il via alle danze è stato Bruno Vespa, l’inossidabile para-giornalista che condivide il suo amore per la Rai con qualsiasi governo di turno.
Chissà se anche lui ha mai pensato di mettere in piedi una carriera sportiva?
Comunque, il nostro Bruno, nel suo stile inconfondibile, ha piazzato un post su X, chiedendo perché mai un italiano dovrebbe tifare per Sinner, dato che “parla tedesco e risiede a Montecarlo”.
Certo, perché noi italiani, con tutta la nostra cultura gastronomica e artistica, non possiamo certo tollerare che un tennista parli una lingua diversa dalla nostra e si goda una vita da nababbo all’estero.
Manca solo che Bruno aggiunga che Sinner ha capelli rossi e rifiuta l’amatriciana, saremmo a posto.
E come non citare Aldo Cazzullo, l’instancabile ospite di La7, che trova sempre il modo di infilarci le sue “giornate particolari”?
A dire il vero, il suo commento su “mezzo italiano” non può che far sorridere. Un po’ come se dichiarassimo che Totò era “mezzo napoletano” perché ha recitato in film ambientati in tutta Italia.
Ma, ovviamente, il patriottismo d’accatto deve avere una sua giustificazione!
Dulcis in fundo, ecco apparire il Codacons, che ha pensato bene di presentare un esposto per chiedere il ritiro di tutti i riconoscimenti ufficiali e delle onorificenze destinate al giovane tennista.
Immagino che i membri del Codacons siano esportatori di patriottismo da tastiera, armati di mouse e tastiere, pronti a fare la guerra a chiunque osi guadagnare la loro ammirazione!
Ma che strano, pochi giorni fa, quando Sinner era crollato a Shanghai, tutti a dirgli di limitare i tornei e a prendersi cura del suo fisico.
Un attimo prima ci stringevamo attorno alla bandiera tricolore, ma rinfoderiamo rapidamente il tricolore non appena il giovane decida di dedicarsi al suo benessere mentale e fisico.
Ah, gli italiani! Un popolo che sembra vivere in un eterno conflitto tra l’orgoglio e l’invidia.
Come diceva Enzo Ferrari: “In Italia ti perdonano tutto tranne il successo”. Una verità che si riflette perfettamente nell’attuale situazione di Sinner.
Qui ci troviamo di fronte a un ragazzo di 23 anni che ha messo su muscoli e abilità con sacrifici enormi, sostenuto dai genitori che hanno creduto in lui fin dall’inizio.
E invece di applaudire il suo successo, ci ritroviamo a mettere in discussione il suo merito.

La celebre citazione di Ferrari è come un mantra che riecheggia nei corridoi della nostra società: “Gli italiani perdonano tutto, ai ladri, agli assassini, ai sequestratori, a tutti, ma non perdonano il successo”. Quella frase potrebbe diventare il titolo di un bestseller, o forse di un programma di cucina in cui gli chef parlano di ricette che richiedono una dose extra di vigore patriottico.
Certo, lo sfoggio di patriotismo è contagioso, ed è facile unirsi al coro quando Sinner solleva trofei e fa sventolare il tricolore, ma appunto, basta che il nostro “eroe” si prenda una pausa e la musica cambia.
Ci si sente traditi.
La bandiera ondeggia, il barometro del patriottismo scende, e voilà, i leoni da tastiera si trasformano in avvoltoi affamati.
Vengono sfornati articoli che criticano ogni cosa: dal colore dei suoi calzini alla scelta della sua residenza, tutto pur di trovare un modo per denigrare il successo altrui.
Ma questo ci porta a riflettere: cos’è che realmente ci spinge a inseguire il successo?
È l’ambizione, la passione o la paura del giudizio?
In Italia, le risposte possono essere complesse.
Cresciamo nella convinzione che il successo individuale sia un colpo al cuore della collettività, una minaccia a quel “noi” tanto celebrato.
Il successo di uno diventa la sconfitta di molti, e non solo in ambito sportivo.
E quindi, mentre il Paese discute su quanto sia “italiano” Sinner, la vera domanda è: quanto siamo noi disposti ad accettare il successo degli altri?
Forse, se ci concentrassimo meno sulle origini e sulle residenze, e più sul sostegno reciproco, potremmo finalmente imparare a festeggiare i successi altrui senza la necessità di farci venire la gastrite.
Il dibattito su Jannik Sinner è molto più di un semplice rifiuto alla Coppa Davis; è una finestra aperta sulla nostra cultura, sul nostro modo di vedere il successo e sulla nostra connessione con il concetto di nazionalità.
Sinner è per molti versi una figura moderna, un simbolo che sfida le convenzioni di un’Italia restia a lasciar andare le sue convinzioni antiquate.
Forse, in questa era di globalizzazione e mobilità, dobbiamo iniziare a rivalutare cosa significa essere “italiani”.
Dobbiamo aprire le porte alla diversità e accettare che la nostra identità può essere arricchita dalla mescolanza di culture, lingue e stili di vita.
Potremmo persino scoprire che la vera forza dell’Italia risiede nella sua capacità di abbracciare chiunque porti il nostro nome nel mondo, che parli tedesco o si goda un soggiorno a Montecarlo.
E se Sinner decide di ascoltare i critici e ripensare alla sua carriera, auguriamoci che lo faccia con la stessa incrollabile determinazione con cui ha conquistato il cuore degli appassionati di tennis.
Perché, alla fine, quello che conta non è il colore della maglia o la residenza, ma il talento e il sudore versato per raggiungere la vetta.
In un mondo che premia l’abilità di tenere il piatto in equilibrio, dobbiamo ricordarci di celebrare coloro che, con tenacia e passione, si cimentano a lanciarsi in alto, anche a costo di rischiare cadute dolorose. Perché, in fondo, l’Italia è fatta di storie di sfide vinte, e Sinner ne è una prova vivente.
Anche se, evidentemente, ci vorrebbe un po’ più di sano patriottismo per renderci conto di quanto sia fantastico il suo viaggio.
Allora, cari “leoni da tastiera”, magari proviamo a lasciare da parte l’indignazione e a fare il tifo per il nostro tennista — perché in fondo, tutti noi possiamo vincere se impariamo a sostenere i successi degli altri.
Magari, la prossima volta che vediamo sventolare il tricolore, potremmo semplicemente applaudire invece di grattare il nostro orgoglio ferito.
Ma per ora, possiamo sempre tornare a parlare di vongole.
Evviva l’Italia, evviva ..no i tennisti, e soprattutto, evviva la sana ironia!