
La “pseudo comunicazione” è un tipo di interazione ingannevole che utilizza tecniche manipolatorie per influenzare gli altri a proprio vantaggio, creando uno squilibrio nella relazione. Si distingue dalla comunicazione vera, che mira allo scambio e alla comprensione reciproca, perché il manipolatore fornisce informazioni distorte e manipola le emozioni per ottenere un risultato specifico. Questo tipo di comunicazione è dannoso perché altera la percezione della realtà della vittima, sfruttando le sue vulnerabilità emotive.
Gli pseudo-ambienti e la realtà filtrata
Un pioniere degli studi sulla manipolazione mediatica fu Walter Lippmann che studiò, a partire dalla prima guerra mondiale, l’uso massiccio della propaganda sia da parte dei regimi autoritari sia di quelli democratici. Nel 1922 Lippmann pubblicò un libro il cui titolo racchiude in sé la concretizzazione della nuova grande attrice del palcoscenico mediatico: “L’opinione pubblica”. In questo testo Lippmann sosteneva che la società divenuta troppo complessa non consentiva all’uomo di conoscere direttamente il proprio ambiente socioculturale di appartenenza, doveva costruirselo attraverso la rappresentazione semplificata o edulcorata fatta dai mass media, che attraverso tali pseudo-ambienti riusciva a produrre fidelizzazione e consenso grazie all’autorevolezza contestuale del mezzo. Agli occhi di Lippmann i mass media apparivano quindi come uno strumento di sviluppo della partecipazione democratica, ma, specularmente, anche come un potenziale rischio per la democrazia.
Cosi affermava Lippman: l’uomo moderno non può accedere direttamente alla realtà, ma deve fare affidamento su immagini e informazioni filtrate dai media. In altre parole, lo pseudo-ambiente è il mondo in cui l’individuo vive, più costruito da rappresentazioni che da esperienze dirette.
La qualità delle informazioni a cui siamo esposti, insieme alla nostra capacità critica di analizzarle, è ciò che determina la nostra comprensione della realtà. Tuttavia, questa comprensione è costantemente minacciata dal rischio di manipolazione.
Il rischio della manipolazione, sia politica che commerciale, diventa centrale in ogni società, democratica o autoritaria. Nonostante i media siano strumenti di partecipazione democratica, possono anche trasformarsi in armi pericolose contro la stessa democrazia, alimentando stereotipi e distorsioni della realtà.
Negli ultimi decenni, la manipolazione dei media è diventata ancora più insidiosa e sofisticata, soprattutto con l’avvento dei nuovi media. Non solo i mezzi di comunicazione di massa continuano a svolgere il loro ruolo di filtro della realtà, ma oggi gli pseudo-ambienti sono costituiti non tanto da contenuti quanto da codici, simboli e cornici comunicative (frame). Le metafore utilizzate nella comunicazione orientano il pensiero e le emozioni degli individui, predisponendoli ad accettare determinati messaggi politici o commerciali. Non si tratta più di distorcere i fatti, ma di creare contesti emotivi in grado di rendere certi messaggi irresistibili.
La teoria ipodermica: Una persuasione diretta
La teoria ipodermica sosteneva che i messaggi dei media venissero recepiti dal pubblico in modo passivo e diretto, come un “iniezione” di significato, senza essere elaborati o filtrati. Questa teoria, basata sull’idea di una società di massa atomizzata e isolata, assumeva che il pubblico fosse indifferenziato e facilmente manipolabile, e che quindi ogni messaggio mediatico avesse un effetto uniforme e potente.
- Relazione diretta stimolo-risposta: La teoria ipodermica vedeva la comunicazione come un processo lineare e deterministico, in cui l’esposizione a un messaggio (stimolo) portava direttamente a un determinato comportamento o opinione (risposta).
- Modello behaviorista: Fondava la sua logica su un modello behaviorista, basato sull’idea che l’esposizione a un messaggio (stimolo) potesse indurre una reazione automatica e prevedibile nel pubblico.
- Pubblico passivo e isolato: I suoi sostenitori ipotizzavano che gli individui, isolati e privi di legami sociali forti, fossero senza difese e completamente esposti all’influenza dei media, che penetravano nei loro pensieri senza mediazioni.
- Manipolazione del pubblico: La teoria implicava che i messaggi persuasivi, in particolare quelli di propaganda, potessero manipolare il pubblico a proprio piacimento, portandolo a comportarsi secondo la volontà di chi li diffondeva.
La teoria ipodermica sostiene una relazione diretta tra stimolo (esposizione al messaggio) e risposta(comportamento). Nella pratica intende dimostrare che se una persona è raggiunta da un messaggio di propaganda, quest’ultima può essere manipolata a proprio piacimento e indotta ad agire secondo il proprio volere.
Ha come suo fondamento e giustificazione la teoria della “società di massa”. Quest’ultima deriva della divisione e specializzazione del lavoro. In particolare, la società di massa è composta, secondo tale pensiero, da individui:
indifferenziati;
isolati e atomizzati;
anonimi e poco colti;
senza organizzazione e leadership;
facilmente suggestionabili;
contraddistinti da comportamenti collettivi uniformi.
Di conseguenza tali individui sono il bersaglio ideale per i messaggi propagandistici, che mirano ad ottenere dalla massa un dato comportamento . Inoltre, a rafforzare ancora di più le conclusioni della teoria ipodermica, c’è, nel clima culturale del periodo, la “teoria dell’azione”, elaborata dall’approccio comportamentista della psicologia behaviorista, che studia il comportamento umano attraverso l’esperimento e l’osservazione.
Secondo la teoria dell’azione la società di massa risponde in modo uniforme ed automatico allo stimolo ricevuto dai media e questo meccanismo è descrivibile da un semplice modello comportamentale di questo tipo.
La manipolazione mediatica è un tema centrale nei dibattiti contemporanei sul potere dei mezzi di comunicazione e sul loro impatto sulle percezioni individuali e collettive
Otiaky Chong .
Bibliografia :
Le teorie delle comunicazioni di massa di Sara Bentivegna (Autore), Giovanni Boccia Artieri (Autore)
Sweller, J., van Merrienboer, J., e Paas, F. (1998). Architettura cognitiva e progettazione didattica. Educational Psychology Review, 10, 251-296.
L’opinione pubblica . Libro di Walter Lippmann https://books.google.it/books?id=AbnN2LZ-8sYC&lpg=PP1&hl=it&pg=PR4#v=onepage&q&f=false