Le sanzioni “non servono

Il qualche modo si può dire che l’Europa abbia vinto la guerra del gas con la Russia.

Gazprom, il colosso energetico controllato direttamente dal Cremlino, ha annunciato di aver chiuso il 2023 con il primo bilancio in rosso da 24 anni a questa parte.

A causa del crollo delle vendite di gas ai paesi dell’Unione Europea, ha avuto un risultato negativo per 6,7 miliardi di dollari.

Quanto accaduto è sorprendente nei numeri, ma non certo per la tendenza in corso. I segnali negativi per Vladimir Putin erano già arrivati l’anno scorso: nel 2022, Gazprom aveva dichiarato un utile per 14,2 miliardi, ma già in calo del 41,4 per cento rispetto alla stagione precedente.

Non una bella notizia per il governo russo, visto che un terzo del bilancio dello stato va alle spese di guerra e le entrate per la vendita di materia prima (a partire dal gas) sono quanto mai fondamentali per il disegno egemonico di Putin.

Del resto, alla prima società al mondo per riserve di gas negli ultimi due anni è venuto meno il suo cliente più importante.

Fino al 2021, le esportazioni russe via gasdotto hanno coperto fino al 45 per cento del fabbisogno complessivo di gas dei paesi Ue.

E così è stato fino a prima dell’invasione russa, grazie ad accordi di lungo periodo con i quali Bruxelles si era assicurata forniture a prezzi oltremodo convenienti.

Allo stesso tempo il Cremlino si era garantita entrate certe e stretto legami importanti con la Ue.

A partire dai dai partner di primo piano come Germania e Italia, i due maggiori acquirenti per volumi complessivi di gas, ma anche con Francia e Spagna, dove la materia prima – in forma liquefatta – arriva via nave.

Al momento, il gas russo copre non più del 12-14% del fabbisogno europeo, con alcuni paesi come l’Italia che nei primi mesi dell’anno hanno visto letteralmente crollare le importazioni da Mosca, che a marzo non superavano il 4-5 per cento del totale consumato nel Paese.

La Russia, dall’inizio della guerra, ha cercato di trovare nuovi mercati. In particolare, ha stretto nuovi accordi con la Cina e l’India.

Ma a differenza dell’Europa, che viene rifornita direttamente dai giacimenti di Gazprom attraverso una rete di gasdotti, i due colossi asiatici ricevono il gas praticamente solo via mare.

Il Cremlino ha cercato di ovviare costruendo nuove infrastrutture, ma per realizzare nuovi impianti di liquefazione, dove si raffredda a bassissime temperature il metano per diminuirne il volume complessivo da imbarcare nelle navi gasiere, ci vuole tempo.

E ancora di più per la costruzione di gasdotti, come quello che collegherà la Siberia alla Cina orientale.

Alle ricadute economiche negative per Gazprom, si aggiungono considerazioni geopolitiche sfavorevoli a Putin.

Le quote di mercato europee sono passate nelle mani dei diretti concorrenti come il Qatar nell’area del Golfo, ai produttori africani (Algeria in primis) ma soprattutto ai grandi gruppo americani.

Grazie allo sviluppo dei giacimenti di shale gas (così chiamato perché ottenuto frantumando gli strati rocciosi) gli Usa sono diventati esportatori netti.

Non solo: dall’anno scorso sono in testa alla classifica per vendite globali di Gnl (il gas liquefatto che viene spedito via mare), passando davanti al Qatar e all’Australia.

Anche la Russia, sta cercando di recuperare terreno: ma solo una piccola parte del gas che arriva in Europa via tubo, ora arriva via mare. E i risultati ora sono più che evidenti.

Rispondi